C. Farquet: Histoire du paradis fiscal

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Titel
Histoire du paradis fiscal suisse.


Autor(en)
Farquet, Christophe
Erschienen
Paris 2018: Presses de Sciences Po
Anzahl Seiten
324 S.
von
Pietro Nosetti, Liceo cantonale di Locarno

Lo studio dei paradisi fiscali comporta almeno due problemi metodologici: l’accesso a fonti sufficientemente indicative di una realtà che, per la natura stessa dei motivi all’origine delle operazioni e delle transazioni realizzate attraverso i paradisi fiscali, tende per lo più a sfuggire, e la resistenza alle tentazioni di un’analisi influenzata da giudizi sommari e ideologici fuorvianti, sia nel senso di una difesa acritica del fenomeno sia di una sua critica senza appello. La prima difficoltà, favorita anche dalle restrizioni di accesso agli archivi privati di banche, di società e di famiglie, contribuisce a spiegare la scarsità di una letteratura affidabile in merito; la seconda spiega la diffusione di testi e documenti impostati per lo più sulla denuncia del fenomeno. Per quanto riguarda il caso svizzero, si aggiunge un terzo problema: il mito del segreto bancario che, assieme alla neutralità e all’indipendenza del paese, suscita facili reazioni emotive oscurando la visione dei fatti reali, anche nel lettore.

A partire dagli anni 1990, la storiografia svizzera ha conosciuto un rinnovamento attraverso solidi studi accademici sulle origini del segreto bancario e sullo sviluppo, dopo la prima guerra mondiale, della piazza finanziaria come centro internazionale che attrae i capitali esteri. A questi studi si sono aggiunti gli ampi e rigorosi lavori della Commissione Bergier, istituita per rispondere alle pressioni internazionali riguardanti le relazioni del settore finanziario con il regime hitleriano e il trattamento dei fondi in giacenza nel secondo dopoguerra. La Commissione beneficiò di un accesso privilegiato agli archivi privati di banche e società che rese possibile un’analisi incentrata sui fatti, ma che non poté evitare un dibattito a volte poco oggettivo nell’opinione pubblica.

Questo rinnovo storiografico ha, solo in parte, incluso il tema del paradiso fiscale elvetico che la pubblicazione di Christophe Farquet pone, invece, al centro dell’analisi. L’autore, classe 1984, ha ottenuto un dottorato in storia contemporanea all’Università di Losanna – formandosi quindi presso alcuni protagonisti del rinnovo di cui si è detto, che sta dando vita ad una nuova generazione di ricercatori – con una tesi sulla difesa del paradiso fiscale svizzero prima della seconda guerra mondiale (pubblicata nel 2016 presso l’editore Alphil di Neuchâtel). I contenuti principali di questa tesi sono confluiti nel libro, oggetto della presente recensione, che estende il periodo d’osservazione fino agli anni ’80 del Novecento.

Dopo un primo capitolo che offre uno sguardo all’insieme sul periodo analizzato, il libro resenta quattro capitoli in sequenza cronologica: dalla fine dell’Ottocento alla prima guerra mondiale, l’affermazione del paradiso fiscale svizzero durante gli anni ’20, il suo declino relativo fra gli anni ’30 e i primi anni ’50, ed infine la ripresa delle attività durante la fase della liberalizzazione finanziaria, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’80. Ripercorriamo brevemente questa suddivisione temporale dalla quale emerge un andamento non lineare della piazza finanziaria svizzera, orientata però a diventare un importante attrattore di capitali esteri. Se i primi segnali di capitali francesi verso la Confederazione appaiono già nei primi anni del Novecento (nel 1901, la Francia introduce un’imposta progressiva sulle successioni le cui aliquote verranno aumentate negli anni), il maggiore afflusso avverrà, anche da Germania, Austria, Italia e Belgio, negli anni ’20. Contemporaneamente la Società delle Nazioni si attiva per fronteggiare l’evasione fiscale e la Svizzera già viene messa in discussione, senza però giungere ad una risoluzione. Seguono tre decenni di declino relativo in un contesto di crisi economica e bancaria, di controlli e restrizioni nei flussi commerciali e finanziari che si allenteranno solo verso la seconda metà degli anni ’50.

Nel frattempo, la Svizzera ha consolidato giuridicamente il segreto bancario inserendolo nella legge sulle banche del 1934 che, come ricorda l’autore (pp. 242-244) darà vita, alla fine degli anni ‘50, ad un falso mito (diffuso dalle banche stesse) secondo il quale il segreto bancario fu codificato con l’intento di difendere le vittime del nazismo. In realtà, le ragioni vanno ricercate nella difesa del vantaggio competitivo che la piazza elvetica stava acquisendo nell’attirare i capitali esteri in fuga dalla crescente imposizione fiscale del proprio paese, come già dimostrato da altri autori. Con la ripresa degli affari internazionali negli anni ’60 emersero nuove minacce, interne ed esterne, contro il segreto bancario, mentre il suo mito ebbe una sua diffusione e possibile utilità. La crescita degli affari continuerà negli anni ’70 (malgrado lo scandalo della Texon che coinvolse il Credito Svizzero e che svelò all’opinione pubblica l’esistenza di pratiche bancarie più che discutibili) e ’80 (nonostante una concorrenza più agguerrita da parte di altre piazze in un contesto di liberalizzazione e integrazione finanziaria internazionale). Oltre ad un’introduzione programmatica nella quale l’autore definisce tre linee direttrici del lavoro (lo sviluppo dell’evasione fiscale internazionale, la regolamentazione internazionale in ambito fiscale e le specificità della realtà elvetica, il libro termina con una conclusione sulla quale torneremo. Lo studio è supportato da materiali provenienti da più archivi svizzeri ed internazionali, completati con estesi riferimenti bibliografici.

Quali sono gli apporti del testo? Possiamo ritenerne almeno tre. In primo luogo, la relazione fra i flussi in entrata dei capitali e l’evoluzione nazionale e internazionale dei sistemi fiscali, dalla quale emerge un lento ammodernamento della fiscalità elvetica che, unita ad un’esenzione per I non-residenti e i loro averi, genera un vantaggio competitivo internazionale alla piazza finanziaria elvetica. Ne risulta un afflusso significativo di capitali la cui quantificazione resta nel campo delle stime e delle ipotesi ma la cui dimensione non può essere relegata ad un fenomeno marginale né per i paesi di partenza né per la Confederazione che li ha accolti. In secondo luogo, l’approfondimento delle discussioni all’interno delle organizzazioni internazionali, in particolare la Società delle Nazioni, durante gli anni ’20 (pp. 109-125), riguardanti la lotta all’evasione fiscale e al segreto bancario, a dimostrazione di come, fin da subito, i paesi coinvolti fossero consapevoli della situazione venutasi a creare. In terzo luogo, la messa in evidenza del ruolo attivo svolto dal settore bancario e della Confederazione, in un contesto politico ed economico internazionale favorevole, che sostenne lo sviluppo internazionale della piazza finanziaria svizzera. Ne risulta una crescente abilità e consapevolezza dei banchieri, rappresentati dall’Associazione Svizzera dei Banchieri, che interagendo con le autorità federali seppero sviluppare una strategia di difesa e di mantenimento di un vantaggio competitivo di rilievo sul piano internazionale, seppur contestato a tratti anche internamente (si vedano, in particolare, gli anni 1961-1963, alle pp. 219-234, e l’iniziativa popolare per l’abolizione del segreto bancario rigettata nel 1984, a p. 279).

L’analisi presenta però alcune fragilità che occorre segnalare. Innanzitutto, il testo assimila il concetto di paradiso fiscale a quello di centro offshore (v. nota 3 a p. 7), associando anche le attività finanziarie transfrontaliere ad un presunto mercato dell’evasione fiscale e alla gestione di capitali per non residenti. In realtà, pur essendoci delle sovrapposizioni, si tratta di concetti distinti che meriterebbero una oro definizione. Questa permetterebbe di meglio precisare le attività e le caratteristiche del caso svizzero messo a confronto e in relazione con quelli di altri paesi, pure europei, che sono considerati, anche nel testo, dei paradisi fiscali. Infatti, queste realtà sono sì concorrenti alla Svizzera, ma anche complementari. Inoltre, la conclusione della pubblicazione è interamente dedicata al periodo successivo a quello analizzato, descrivendo e commentando l’evoluzione della piazza finanziaria svizzera tra gli anni ’90 e la crisi del 2008, attraverso una lente storica, ma mancando l’occasione di trarre delle considerazioni finali sull’oggetto analizzato nell’arco di un intero secolo. Limitiamoci allora ad osservare che l’evasione fiscale comporta, oltre al sistema giuridico e fiscale e alla politica economica di un paese, un insieme di elementi che riguardano i soggetti che evadono e le differenti modalità e pratiche dell’evasione, le quali vedono il coinvolgimento di prodotti e di istituti finanziari appartenenti a contesti normativi e fiscali di paesi terzi, identificati come paradisi fiscali. L’evasione fiscale, pur intrecciandosi, si distingue però da altri comportamenti come il riciclaggio di denaro e l’utilizzo del sistema finanziario da parte di potentati o di organizzazioni criminali la cui presenza pure si manifesta nei paradisi fiscali.

Qual è, infine, la tesi che percorre l’intero lavoro? In sintesi, possiamo ritenere che il caso svizzero si inserisce in un contesto politico e istituzionale, nazionale e internazionale, che supera gli aspetti strettamente economici e finanziari. In altri termini, l’esistenza di un paradiso fiscale svizzero in grado di attirare importanti capitali esteri e di offrire condizioni fiscali privilegiate a società holding e di domicilio (anche a livello cantonale, come a Zugo e a Svitto, ma non solo) va attribuita ad una strategia politica attivamente realizzata dalla Confederazione fin dagli anni ’20, sotto l’influenza diretta del settore bancario. Questa strategia, concretizzata dai partiti borghesi e resa possibile da un debole fronte critico interno proveniente dall’area di sinistra, organizza la difesa del segreto bancario e dei vantaggi competitivi che ne risultano. La strategia si compone da una scarsa collaborazione nelle organizzazioni internazionali (la Società delle Nazioni negli anni ‘20 e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico negli anni ‘60) con concessioni solo marginali rispetto al nocciolo della questione (la possibilità offerta ai capitali esteri di evadere le imposte nel paese d’origine in ragione di un mancato accesso da parte delle autorità fiscali ai dati dei clienti delle banche svizzere) e con l’erogazione di crediti ed investimenti ai paesi dai quali i capitali privati provengono.

Supportata dal federalismo fiscale e da un sostegno popolare emerso in talune votazioni federali, la strategia raggiungerà i suoi scopi anche in ragione di una pressione proveniente dall’estero che, pur manifestandosi a più riprese, mai sarà, almeno fino agli anni ’80, tale da scardinare il vantaggio competitivo raggiunto e consolidato dalla piazza finanziaria elvetica. Questa debole pressione estera sarebbe rivelatrice, oltre delle difficoltà di istituire un fronte comune contro la Confederazione, di un’accettazione, mai esplicitamente ammessa ma esistente, del segreto bancario svizzero presso politici e finanzieri dei paesi europei e pure statunitensi. Detto altrimenti, la Confederazione sarebbe riuscita a salvaguardare, per quasi un secolo, il segreto bancario, elemento centrale per attirare I capitali esteri in fuga dal fisco dei paesi d’origine, grazie ad una certa compiacenza, non disinteressata, in quegli stessi paesi. L’analisi mette quindi in risalto la dimensione politica dell’argomento giungendo, a più riprese, a collegare i paradisi fiscali con l’ideologia liberale i cui rappresentanti, essendo intenzionati a mantenere una debole imposizione fiscale sul reddito e sulla sostanza, accettano, se non addirittura promuovono, le pratiche dell’evasione fiscale. È pertanto facile immaginare che la pubblicazione otterrà un’adesione negli ambienti critici verso il settore finanziario e il pensiero liberale mentre da questi giungeranno, comprensibilmente, perplessità e distinguo.

Zitierweise:
Nosetti, Pietro: Rezension zu: Farquet, Christophe: Histoire du paradis fiscal suisse. Paris 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 181-184.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 181-184.

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